La Mafia in Italia: tornare a parlarne per accrescere la consapevolezza
La Mafia esiste? La Mafia è sempre uguale a sé stessa? E quanto ci è vicina, la Mafia?
Domande retoriche e banali? Crediamo di no. E crediamo, preoccupati, che già questa sia “la notizia”. A scuotere profondamente sono, rispetto a queste domande e alle risposte che gli italiani intervistati hanno dato, i risultati di un recentissimo sondaggio di Demos-Libera, pubblicato da la Repubblica il 10 novembre scorso.
Gli intervistati, tutti cittadini italiani, residenti in Italia, dai 18 anni in su, hanno affermato senza dubbio, alla prima domanda generica, che la Mafia sicuramente esiste ed è un problema nazionale. Quando però le domande si sono fatte più profonde, andando a verificare quanto la percezione del fenomeno si sposasse sempre più con il proprio vissuto ed il proprio territorio di provenienza, le risposte si sono fatte più vaghe, meno certe, in alcuni casi quasi negazioniste. E quindi, le stesse persone che hanno sicuramente affermato che la Mafia sia un problema nazionale hanno poi sempre più progressivamente cominciato a “scaricare il problema” un passo più lontano dalle proprie radici, dai propri luoghi – dalle proprie esistenze, verrebbe da dire.

La Mafia in Italia: la rimozione di una realtà più vicina di quanto si pensi
Se il 95% ha affermato che la Mafia è una questione nazionale, solo il 75% l’ha riconosciuta come caratterizzante la propria regione di provenienza. Dato che è sceso in modo preoccupante al 44% quando la lente di ingrandimento ha provato a inquadrare il Comune di provenienza dell’intervistato. Un bias psicologico, verrebbe da dire, scomodando la psicologia delle rimozioni: nego un risultato che mi fa paura o mi inquieta. Teniamo per buona questa possibilità, ma andiamo avanti.
Divisa per aree di origine, la questione non si risolve. Tutto si aggrava perché appare evidente che il bias rassicurante inteso prima, in realtà, sparisce. E, a protestare la Mafia come un problema non solo nazionale ma anche territoriale, sono i cittadini delle macroaree geografiche più interessati, storicamente o nella recente attualità, da inchieste e attenzioni mediatiche collegate al fenomeno. E quindi, Sud e Nord-Ovest percepiscono il fenomeno molto più chiaramente delle altre grandi porzioni di territorio nazionale, dove i dati arrivano quasi a negarlo quando si scende all’analisi Comune per Comune.
Non un curioso trucco dell’inconscio, dunque, ma una chiara tendenza alla sottovalutazione da parte dell’opinione pubblica. Ancora più preoccupante per la Puglia, che vede la sola “mafia foggiana” attestata come ultima protagonista nell’immaginario degli intervistati, quando si parla di effettiva diffusione e pericolosità propria dell’organizzazione. Ecco, questo è forse il dato più allarmante per chi vi scrive.
Un rischio che non possiamo correre
È un dato che sottolinea due aspetti fondamentali di una battaglia che si rischia di perdere di nuovo. È un dato che ci racconta che in Italia, anche in Puglia, le Mafie presenti vengono ridotte mediaticamente a un unicum spesso indistinto che segue, nel nome e nella definizione, i trend giornalistici più della reale consapevolezza. Si parla di “mafia foggiana” – già ignorando che dovrebbe parlarsi di Mafie Foggiane, visto che sul territorio dauno insistono realtà tra loro molto differenti – solo perché negli ultimi cinque anni è in quel territorio che hanno sparato e ammazzato di più, finendo sui giornali e sugli schermi televisivi. E se ne parla non solo male, ma anche poco, troppo poco, se è vero che queste sono considerate addirittura meno presenti o pericolose della mitologica mafia nigeriana, la cui presenza diffusa, consolidata e concretamente operativa in Italia è ancora tutta da provare.
Anche qui, il dato è molto allarmante e si sposa, a parere di chi vi scrive, con una preoccupante tendenza, ovvero una progressiva rimozione del problema in nome di una scelta precisa: quella del marketing territoriale. Da un quinquennio buono, in Puglia, in nome di una narrazione da costruire di “isola felice”, Mecca del turismo internazionale e sfavillante luna park di emozioni tutte diverse da vivere, si sta scegliendo di minimizzare ogni fenomeno allarmante, col rischio non solo di dissolvere una consapevolezza, ma addirittura di disarmare tutta una serie di comunità dagli strumenti di percezione e di difesa rispetto ad una minaccia.
Questo rischio, come comunità, non possiamo correrlo. Già cinquanta anni fa, quando tutte le Mafie Pugliesi presero piede e cominciarono a strangolare la nostra Puglia, trasformandosi da estemporanee bande di contrabbandieri in clan stabili, con competenze modernissime e crescenti nell’aggiornamento, questo fu possibile perché, pur di fronte agli attentati ai negozianti e alle guerre che insanguinavano le strade, si continuava a diffondere la finta e rassicurante narrazione di Apulia Felix. Ci vollero gli omicidi di donne e uomini innocenti o di amministratori e funzionari dello Stato coinvolti in prima fila nella lotta al malaffare, spesso già mafioso, per convincere tutti noi ad aprire gli occhi.
Stiamo rischiando di chiuderli di nuovo. Svegliamoci! Torniamo a parlarne e scegliamo di non stare in silenzio: riportiamo la consapevolezza e il dibattito qualificato anche e soprattutto nei luoghi di formazione, come le scuole.
Domenico Mortellaro
Siamo disponibili, con i nostri autori e autrici, ad organizzare incontri di dibattito e strutturare percorsi di lettura e approfondimento con le scuole. Se interessati contattateci: info@lameridiana.it
Domenico Mortellaro, classe 1979, barese, criminologo e sociologo del crimine e della devianza. Consulente editoriale per le edizioni la meridiana. Da anni studia le Mafie Pugliesi ed è autore di numerose pubblicazioni di studio sui temi collegati alla Camorra Barese. Per il catalogo delle edizioni la meridiana è autore del libro “San Pio, per tutti ancora Enziteto” e l’ebook “La Camorra Barese“.


