Cronache dal futuro / 17-06-2021
Continua la raccolta di testi Cronache dal futuro, lo spazio aperto ai ragazzi e alle ragazze che immaginandosi nel futuro raccontano a un interlocutore da loro scelto ciò che hanno vissuto, capito, provato durante i mesi della pandemia che ha imposto di ‘non vivere’ la loro età come i loro coetanei avevano fatto prima. Un tempo diverso raccontato però dai ragazzi attraverso la scrittura e una maschera da loro disegnata. I testi costituiscono un materiale vivo, palpitante e ricco. E ci dicono che “i ragazzi sapranno fare meglio di noi”. Dobbiamo solo ascoltarli. Buona lettura.
Ero sola, davanti alla mia scrivania
Se dovessi attribuire al 2020 una parola, a vent’anni di distanza, direi: inaspettato. Inaspettato, perché nessuno avrebbe mai immaginato che quell’anno sarebbe passato nell’anormalità totale. Un puntino nero in mezzo al bianco. Un puntino nero che per quanto fosse piccolino, creò un caos in tutto il mondo.
A fine novembre del 2019, si era sentito parlare di un virus diffuso in tutta la Cina: il corona virus o Covid-19. Mi ricordo che non gli diedi molta importanza e vivevo la mia vita nella normalità, come una ragazza di sedici anni doveva fare. “Non importa, sarà un virus come gli altri” mi ripetevo. Sbagliavo. Sbagliavo di grosso. Non era un virus come gli altri, ma qualcosa di peggiore. In poco tempo, il virus si diffuse in tutto il mondo creando una pandemia globale e causando molte morti in men che non si dica. Un minuscolo ed invisibile virus ai nostri occhi riuscì ad uccidere decine di migliaia di persone.
L’Italia fu messa in quarantena: era uno dei Paesi più contagiati oltre alla Cina e agli USA. Fu tutto così surreale per me. La mia vita con quella di altre sette miliardi di persone era stata capovolta, completamente. Mi sentivo in un limbo: era come se avessi chiuso gli occhi per due secondi lasciando il mondo nella normalità che c’era, averli riaperti e di punto in bianco essere circondata dal caos e dal silenzio allo stesso tempo. I medici che cercavano ogni giorno di salvare delle vite, seppur tra troppe morti, la gente che non circolava liberamente e che si trovò rinchiusa tra quattro mura, da sola o con la propria famiglia. Eravamo tutti come topi in gabbia, fermi, senza poter far niente e troppo increduli per dire una sola parola. Fu così veloce che non mi accorsi di niente, come quando tutti attorno a te corrono veloci mentre tu stai ferma, immobile a cercare di capire cosa sta succedendo.
Durante la quarantena feci, come tutti gli studenti del Paese, le video lezioni online, cioè le lezioni da casa. “Fate come se foste a scuola”: così ci dicevano i professori. Ma sapevo in cuor mio, come lo sapevano tutti, che questa frase era completamente una bugia, una menzogna. Non eravamo a scuola, non sentivo i miei compagni sussurrare mentre l’insegnante spiegava, o parlare tra il cambio di una lezione ed un’altra, ma solo silenzio; non ero accerchiata da banchi e da un’aula, ma da una stanzetta e un computer acceso. Non ero in mezzo alle persone, ma ero sola, davanti alla mia scrivania. Gli occhi che bruciavano a causa del tempo passato davanti allo schermo e la stanchezza improvvisa mi travolsero come un treno.
Tutto era fermo: le strade vuote, le persone assenti, le città deserte, tutto era fermo come se un blackout avesse colpito tutto il mondo, lasciando il 2020 nel buio più totale possibile. “Andrà bene”: questa frase era stata il motto di quell’anno. Mi ricordo ancora che vedevo video sui social di gente che urlava dai balconi o dalle finestre speranzosa che tutto quello che viveva il mondo, finisse una volta per tutte.
Anch’io desideravo che il coronavirus potesse andare via, che cancellasse le sue tracce e ci facesse ritornare alla normalità. Alla vita di prima. Volevo ritornare alla normalità, ad abbracciare i miei amici senza che qualcuno me lo impedisse, a passeggiare senza la mascherina in faccia, a vivere e a godermi la libertà che mi spettava. Il 2020 mi tagliò le ali, mi impedì di spiccare il volo, ma allo stesso tempo riuscì ad aprirmi gli occhi su molti aspetti e a disciplinarmi. “Dal dolore si impara e si cresce” si diceva. Infatti, capii che la mia vita era piena di cose: riuscii ad apprezzare ancor di più i piccoli gesti che miei amici o la mia famiglia facevano per me, come augurarmi una semplice buona giornata, o le loro preoccupazioni nei miei confronti, perché attraverso quelle piccole e quasi invisibili attenzioni riuscivano a colmare un vuoto dentro di me. Capii pure che la vita era temporanea e che deve essere vissuta per quel che è. Non importa quanta cattiveria ti butta addosso, è necessario saltare gli ostacoli che ti mette davanti ed imparare a stare in piedi, essere forti ed essere sempre positivi.
Scrivo questa lettera per me sedicenne che si era ritrovata con altre sette miliardi di persone in mezzo a una pandemia globale e diverse difficoltà oltre ad essa, per dirle che, seppur il 2020 fu un anno pieno di dolore per tutti, è stata forte nella sua insicurezza, nella paura di perdere qualcuno a lei caro a causa del virus, nella sua piccola speranza che tutto sarebbe finito e nell’aver superato tutti gli ostacoli che il 2020 le aveva messo davanti e ricordarle sempre, ed a altre persone, che pure nel buio c’è sempre quello spiraglio di luce, che, seppur piccolo e quasi impercettibile, può illuminare una stanza intera.
Il Covid ci ha tolto una parte di noi: la scuola
Cara Allison,
mi hai chiesto molte volte di raccontarti alcune storie divertenti riguardo la mia adolescenza, e, come madre, come potrei dirti di no? Oggi, però, voglio scriverti ciò che è successo nel 2020, nel bel mezzo di quelli che dovevano essere i miei anni migliori. Avevo tredici anni quando, improvvisamente, a marzo è iniziata la quarantena, a causa di una pandemia provocata da un nuovo virus, il Covid-19 o coronavirus. A causa di questa triste situazione abbiamo finito la scuola media in didattica a distanza, senza poter salutare i compagni, prima di perderci di vista.
A giugno la situazione è iniziata a migliorare e siamo potuti uscire finalmente di casa. Abbiamo avuto un po’ più di libertà fino a settembre, quando i contagi hanno iniziato però ad aumentare di nuovo, ed è arrivata la seconda ondata. Noi studenti abbiamo ricominciato la scuola, o chi come me iniziava la nuova avventura liceale, in presenza. Purtroppo, solo per due mesi: infatti, alla fine di ottobre abbiamo ripreso a seguire le lezioni online. Rispetto agli altri, odiavo questa modalità di didattica, fin dalla prima volta a marzo. Non mi sono mai trovata bene e ho sempre studiato male, e dato che in autunno eravamo in quella stessa situazione era come rivivere quelle emozioni. Era come se noi studenti avessimo perso una parte di noi stessi: la scuola. Per quanto molti potessero negarlo, sapevano che in fondo era la verità.
Normalmente passavamo quasi più tempo a scuola e con i nostri compagni, che a casa con i nostri genitori. Potrei dire, quindi, che questa pandemia più che a farmi “riscoprire” la famiglia, come è capitato a molti, (dato che comunque ho sempre avuto un bel rapporto con i miei genitori), è servita per apprezzare molto di più la scuola! Ho pensato a quante volte abbiamo detto che fosse noiosa e a quanto la odiassimo, invece che renderci conto che era proprio fondamentale la scuola, dove abbiamo imparato a conoscere noi stessi, ma soprattutto i nostri amici, che poi sono diventati come dei fratelli. Infatti, nei primi mesi del primo anno di liceo ho conosciuto persone fantastiche ed ho imparato ad apprezzare ogni singolo momento insieme e quel minimo “contatto” che c’era ogni giorno e che speravo tornasse ad esserci quanto prima!
Per saperne di più sul progetto Cronache dal futuro, leggi l’articolo introduttivo in cui Raffaela Mulato racconta questo progetto per dar voce ai giovani.
Cronache dal futuro è anche una proposta che vorremmo rendere virale (e virtuosa). Che tu sia un docente, un educatore o un genitore, proponila ai ragazzi e invitali a inviare i loro scritti e le loro maschere per email a informazione@lameridiana.it. Troveranno spazio sul nostro blog, dove saranno pubblicati insieme alla maschera che li accompagna.